FEB
08
2018
Nietzsche e sesso “bonobo”
Scriverò di sesso e lo farò in modo paradossale perché ciò che voglio affermare è che “… non bisogna scrivere di sesso …”.
Ho scelto questo strano incipit per aprire il commento al testo di
Michel Faucault,
La volontà di sapere Feltrinelli, Milano, 1976 / 2013, con cui sono “molto” d’accordo. Nel testo, infatti, si tratta di come e quanto (tanto) si è parlato e di perché, in pochi casi, si è predicata la censura, in relazione all’argomento
sesso nella storia recente. Il focus è posto sul fatto che, appunto, di questo tema, nella società moderna, si è sempre parlato, ma sempre da una specifica prospettiva, religiosa, scientifica, tecnica … e le argomentazioni riguardano il fatto che in altri contesti storico-culturali è andata diversamente: il sesso, ad esempio, è stato oggetto di un’
ars amandi oppure è stato “comunicato” all’interno di un linguaggio naturale (come se il sesso fosse un argomento che non prevede distanza – “Piove, prendi l’ombrello.”). Vediamo che significato possiamo dare a questa analisi storica e ai successivi commenti.
“Il medium è il messaggio …” dice Marshall McLuhan per sostenere che i mezzi di comunicazione non sono solo strumenti, ma prolungamenti della sensorialità e dello stesso sistema nervoso (cito di seconda mano, mi si scuserà, non riuscendo a reperire altre fonti; i concetti espressi si trovano su
A. Barbera, R. Turigliatto Leggere il cinema, Mondadori, Milano, 1978 –
M. McLuhan Il mondo in bobina pp. 364 e seg.i).
Tra l’altro, questo significa che trasmettere un contenuto attraverso un mezzo (e uno è diverso dall’altro) è un’operazione che ha conseguenze di due tipi. Innanzitutto fa sì che le persone siano costrette, o almeno spinte, a processare il messaggio con lo stesso canale, con le sue peculiarità. In secondo luogo, il messaggio stesso è oggetto di “consumo”: viene definito, accostato con altri, sintetizzato, interpretato; nel processo diviene anche un locus di presunte relazioni causali.
È proprio il cervello che per identificare qualcosa procede per differenze: definisce cos’è rispetto a cosa non è. Siamo spinti a sistematizzare: ad
assimilare e
accomodare, come avrebbe detto Piaget; acquisisco informazione e poi l’adatto attraverso una relazione con l’ambiente; in questo modo “imparo”.
Ma io voglio porre l’accento sul costo di questo
apprendimento. Il “parlarne” crea separazione tra il discorso e l’oggetto, così è necessario prendere le distanze per osservare e discriminare; se questo è il compito che mi do, potrò poi cambiare prospettiva, approccio, relazione? Potrò, soprattutto, scegliere di rientrarci e di rimanere sempre
dentro? Inoltre parlarne significa adottare un codice che accomuna al dialogo: questa “digitalizzazione” provoca una perdita di informazione (vedi
Teoria matematica della comunicazione, formulata da Claude Elwood Shannon e Warren Weaver nel 1949). Più prosaicamente dirò che questa abitudine / facoltà a parlare di sesso implica l’attitudine ad entrare e uscire (entrare e uscire, entrare e uscire) dal contesto di vissuti inerenti al sesso e che la perdita cui abbiamo accennato più sopra consiste nel “mistero”, non inteso come ciò che non si conosce, ma come ciò che c’è nell’individuo singolo è unico e intimo.
Un altro concetto connesso con l’idea di consumo riguarda la sovrabbondanza di informazione che diventa “nessuna informazione”: quando le informazioni in un contesto sono troppe non riesco ad assumermi il compito di processarle! Ancora: la ripetizioni di uno specifico
oggetto – medium (un’informazione veicolata attraverso un mezzo correlato – dedicato) si “àncora”. Significa che attraverso la ridondanza si crea un’abitudine che mi spinge a ripercorrere lo stesso pattern ogni volta che mi ritrovo ad “operare” in quell’ambito.
A fronte di tutto questo, cosa fare?
Intanto rendiamo omaggio alle culture degli avi (es.: greci e romani) e alle
artes amandi: l’arte ha come fine precipuo quella di ampliare lo spazio della poiesi e quindi del significato che può essere attribuito dal fruitore in autonomia rivalutando il proprio vissuto (di fronte all’opera). Quindi: “Grazie”!
E poi?
La mia opinione è che si debba ritornare al periodo in cui le argomentazioni sul sesso appartenevano al
linguaggio naturale (es.: nel Rinascimento), alla dimensione, naturale e animale, che, lei sola, per Nietzsche, poteva salvare l’uomo. Riconoscere che il sesso è animale, che è
cerebellum e sistema limbico, prima che corteccia cerebrale (che pure usata bene aiuta!). Significa che potremmo imparare dai
bonobo (Pan paniscus), gli ominidi che non parlano “molto” di sesso, ma ne fanno tantissimo e di ogni tipo. Significa togliere ogni orpello morale alla concezione di sesso perché la morale rappresenta un dominio altro (perfino dal punto di vista neurofisiologico: corteccia prefrontale). Significa farne uno strumento di benessere e di libertà dove tutto è, più che concesso,
normale (perché vi è assenza di anormalità), purché faccia bene a me e all’altro (agli altri).
Non è facile, le infrastrutture create dal processo descritto da Faucault nel suo libro, sia che detto processo stato guidato o meno e seppure dette infrastrutture non abbiano funzionato, in senso stretto, come una censura (
non se ne può parlare), le infrastrutture, dicevo, ci spingono a stare
fuori dal sesso fino a quando non si “decide” di provare a farlo (agirlo); allora si “entra” e si fa “qualcosa”; qualcosa che abbiamo sentito fare, visto fare, ma che spesso non funziona perché la componente del sé e troppo esigua o assente.
Non si tratta quindi di mezzi, contenuti (anche la pornografia può essere amica o nemica), infrastrutture; aldilà di tutto, adesso, la via per il “recupero” corrisponde al recupero di se stessi da una forma di alienazione che si è insinuata nelle pieghe di “altre alienazioni” convergenti; convergenti perché mirano tutte al depauperamento, alla svalutazione, all’annichilimento, allo svilimento delle libertà individuali e all’omologazione, in basso!
Aggiungo (a posteriori) che questa è una deriva generale per il genere umano. Il nostro sistema produce informazione rendendoci sempre più incompetenti. Però siamo degli incompetenti che non si preoccupano della qualità di quello che comunicano e quindi comunicano qualsiasi cosa, comunicano informazione spazzatura che oltre che intasare ogni “canale” promuove l’idea che
Va bene esprimersi, parlare, scrivere, promulgare opinioni. Quest’orgia di informazione che inonda la nostra società porta con sé un’altra idea: ovvero che tutti abbiano titolo a
far valere la propria opinione su qualsiasi cosa confondendo la dignità che il diritto di esprimersi comporta con la competenza. Questa passa allora in secondo piano anche nei processi decisionali causando disastri.
Non so se riusciremo a invertire questa tendenza: se vogliamo, cominciamo a parlare meno, scrivere molto meno, ascoltare di più, studiare molto di più e iniziamo a pensare che solo contributi originali e frutto di approfondimento sono veramente utili e soprattutto interessanti.