OTT
28
2014
Le transazioni dell’ovvio
In Analisi Transazionale Integrata, una teoria inerente alla comunicazione intra- e inter-personale, le transazioni sono definite come l’unità elementare della comunicazione. Corrispondono ad un atto, frequentemente ad un’espressione di contenuto verbale.
Negli scambi di informazioni tra più attori il contenuto e la modalità espressiva marcano un posizionamento che ogni individuo cerca di acquisire o mantenere. Si tratta di ruoli e di relazioni top-down, bottom-up o paritarie.
I temi possono riguardare: 1) le emozioni e i sentimenti, 2) le regole e le questioni etiche e 3) “i dati di realtà” (lo stato dell’arte di una situazione …).
Esiste poi una suddivisione che riguarda certi tipi di transazioni denominate ulteriori dove esistono contemporaneamente due piani della comunicazione: quello
sociale e quello
psicologico.
Così se un seduttore invita un’affascinante ragazza a vedere la sua collezione di farfalle, sta alludendo probabilmente a qualcos’altro; a livello sociale fa l’entomologo ma a livello psicologico … lancia la sua esca.
Attualmente, secondo me anche a causa della contrazione del tempo contatto che i media concedono ad una persona intervistata e, in generale, all’enfatizzazione sulla necessità di sintesi implicita nei mezzi di comunicazione (vedi twitter, whatsapp, ecc.), stiamo assistendo ad un fenomeno a mio avviso preoccupante: la deriva di quelli che normalmente erano i normali obbiettivi delle attività di comunicazione.
Vediamone alcuni:
- negoziare,
- motivare,
- informare,
- chiarire,
- dimostrare affetto,
- ….
In effetti ce ne sono tantissimi.
Molti di questi obiettivi risultano esplicitamente dichiarati proprio grazie ai contenuti espressi.
Come abbiamo visto ci sono gli “strumenti” per dire qualcosa di diverso da ciò che si vuol dire: oltre alla “collezione di farfalle” c’è per esempio la possibilità di comunicare proprio il contrario di ciò che si esprime a livello di contenuto agendo un incongruenza attraverso gli atteggiamenti del corpo o altri aspetti come il tono della voce, ad esempio. Se mio figlio mi ammacca la macchina entrando in garage senza curarsi delle dimensioni dell’auto potrei dirgli con un piglio irato “Ma che bene che guidi!” intendendo abbastanza chiaramente il contrario (in effetti io cerco di non usare mai questi strumenti).
Tuttavia, attualmente, si può assistere ad un fenomeno affatto nuovo: molti soggetti sostengono posizioni come se fossero dogmaticamente corrette, al di là che non lo siano, o non lo siano del tutto, attraverso sentenze lapidarie che vengano ribadite al di là di ogni argomentazione altrui.
Tutto è iniziato con i talk show ed è continuato a diffondersi in maniera pervasiva pressoché in ogni processo di comunicazione.
Caterina Simonsen nel suo libro Respiro dopo respiro ha sostenuto la necessità di proseguire con alcuni esperimenti sugli animali per testare farmaci, essendo nell’attuale condizione di sopravvivere solo grazie a ritrovati che lei sa essere stati appunto testati su cavie.
Non mi interessa trattare l’argomento che non conosco affatto né mi interessa rilevare come hanno già fatto in molti che chiunque si senta in diritto di esprimere in maniera violenta le proprie posizioni (… per altro Gasparri docet).
Quello che mi interessa è che frequentemente le opinioni vengono presentate senza alcuna analisi o argomentazione, come un dogma, appunto, che non ha bisogno di alcuna esegesi perché dotato della stessa forza di una tautologia (che infatti è “forte” solo in apparenza).
Che possibilità ha l’interlocutore di fronte a frasi come “… gli animali come noi sono tutti esseri viventi; nessuno deve far loro del male!” piuttosto che “… l’unica possibilità di vincere il terrorismo è la pace e il disarmo unilaterale.”
Se si pone sullo stesso piano, comunque non può far prevalere una posizione alternativa perché un concetto vale l’altro quando non è possibile articolare ragionamenti su dati di fatto e considerazioni possibili; un’altra possibilità è iniziare le proprie valutazioni argomentando, cercando conclusioni, se non logiche, almeno formalmente non scorrette.
Solo che quest’attività prende tempo; così l’altro può: interrompere in vario modo, irridere la “lentezza” o la “complessità”, ribadire la propria posizione urlandola, offendere, ecc.. La querelle così passa in secondo piano lasciando il posto ad una guerra di posizione che ha l’obiettivo di sopraffare e di non essere sopraffatto. Alla peggio, tra urli e sceneggiate tanto frequenti in TV attualmente, si ha un nulla di fatto. Per questo si punta sulle capacità di generare immondizia … cosa si ha da perdere?
E cosa (eventualmente) si vince? La popolarità del più forte, la fama di “comunicatore” (bel paradosso!), l’ansia degli avversari, la paura (futura) di subire un attacco. In una parola il “potere”.
In Transazionale tutto ciò che ha a che fare con il potere è fuori dall’ambito dell’Adulto, termine con il quale si designa la parte di noi impegnata in valutazioni razionali. La ricerca del potere cancella ogni prospettiva di negoziazione di reciproco vantaggio e con essa anche ogni possibile crescita del singolo o del gruppo.
Il potere quindi non è vera leadership, ma il suo contrario mascherato. Il potere implica la mancanza di rispetto e in fondo in fondo una scarsissima autostima.
Inoltre, concentrarsi sul potere spinge le persone a occuparsi di tutt’altro che non sia la matematizzazione delle proprie idee, le attività di studio e analisi, la valorizzazione del confronto. Accende invece il conflitto sterile e l’ira.
Marshal McLuhan scrisse la famosa frase “Il medium è il messaggio”; nel nostro attuale villaggio globale il livello della qualità della comunicazione ci anticipa come sarà il mondo di domani.
Non riesco a essere ottimista oggi …
Good night and good luck.