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03 21 2022
I giocatori di carte di Cézanne
Cosa ha scelto di rappresentare Paul Cézanne ne I giocatori di carte? Tre versioni della stessa opera in una serie di cinque lavori sullo stesso tema, con una lunga preparazione alle spalle. Si vedono due uomini, uno più giovane dell’altro, intenti a giocare a carte. Il più giovane è leggermente più proattivo fisicamente, le sue braccia sono ben appoggiate con tutti gli avambracci sul tavolo; le mani raggiungono e superano la metà del tavolo. Anche il capo è maggiormente proteso verso l’altro. Gli abiti sono chiari, luminosi; il cappello più che elegante, pratico. Il taglio degli occhi, almeno nella prima versione (quella appartenente ad una collezione privata, oggi in Qatar), è forse sorridente, può suggerire la possibilità che stia guardando la persona davanti a sé, con benevolenza. La persona più matura ha un viso più scavato, un cappello elegante, di chi non lavora più; l’aria è più riflessiva, assorta, come se stesse ben ponderando per scegliere quale carta giocare. Fuma la sua pipa di schiuma raccolto nel suo abito scuro. Le sue carte sono visibili, al contrario di quelle del suo antagonista. Il vino, a disposizione, sullo sfondo è proprio al centro rispetto delle due figure; penso un elemento di unione più che di separazione. È un’opera strana; molti la considerano una natura morta; perlomeno una scena immobile. Sicuramente, nelle tele precedenti e successive alla terza, i personaggi sembra siano più chiusi in loro stesse. Ma andando oltre potremmo chiederci: “Di cosa staranno parlando tra una giocata e l’altra?” Sono padre e figlio? Guardando i personaggi di tutta la serie probabilmente no. In ogni caso, cosa può dire una persona che ha vissuto ad una che sta vivendo? Cosa vorrebbe sentirsi dire una persona al timone della propria vita da un vecchio marinaio? Vi è più ragione nel tuo corpo che nella tua migliore saggezza, scrive Nietzsche e nel corpo di una persona sul viale del tramonto c’è sempre meno vita. Parlando di famiglia, un padre può proporre la propria Weltanschauung al proprio figlio? Se lo facesse non potrebbe che partire da un presupposto, anzi due: che la vita abbia senso e che ne abbia uno specifico. Che carte giocherò come padre? Quelle più intelligenti; quelle più oneste. Ma soprattutto giocherò; e giocando meglio possibile, amerò. Quindi proporre le proprie idee non è tanto un contributo alla conoscenza (magari sì, ascoltare senza obblighi non può che essere una buona idea) quanto un atto d’amore che può essere accettato, anzi fruito, anzi gradito. Che si giochi, allora, con impegno e leggerezza perché si sta solo giocando, non c’è violenza nel gioco, solo piacere di stare assieme e scambiare informazione. Informazione e calore … Ma se giocando ci chiudiamo nell’esaminare delle nostre carte, se le carte diventano l’aspetto più importante della relazione, se ci si arrocca, insomma, la relazione sparisce e lascia il posto ad una sorta di disperazione invernale e grigia.
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