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DIC 23 2014
Bateson 3 La teoria della schizofrenia
Con questo articolo chiudo l’esperienza di scrittura di un certo tipo di articoli sul mio blog. È vero che avevo dichiarato di voler trattare argomenti come, ad esempio, le argomentazioni maltrattate di Cartesio e ancora, ma per un po’ avrò altro da fare per cui eventualmente solo articoli tecnici (certamente uno sulla nuova ISO 9001). Certo non ho molti seguaci, ma so di averne di oscurati su “linkedin” cui ricorderei il detto siciliano “iddru … (… chi cerca dove non deve trova quello che non vuole …) e uno più lapidario: “Ladri una volta, ladri per sempre”. Le mie pagine su questo blog non sono state certo politically correct, ma mi sono stancato anche di fare il provocatore. Un Aristarco Scannabue in più o in meno non farà certo differenza (non “scannatevi”: si tratta di un satirico minore italiano, Giuseppe Baretti). Due osservazioni prima di iniziare: la prima riguarda l’attuale quadro teorico sulla schizofrenia che ha una complessità accentuata. Ce ne rendiamo conto prendendo in mano un compendio già datato come ad esempio John Cutting Psicologia della schizofrenia Bollati Boringhieri, Torino, 1989. Da p. 118 si trovano elencate delle (possibili) cause: genetiche, psicosociali, organiche. Il testo fornisce descrizioni esaurienti, anche in una prospettiva storica, non solo di queste ultime. La seconda riguarda Bateson e il suo modo di affrontare gli argomenti. Celebriamo questo autore e la sua solitudine: come Hofsdadter, Freud o Nietzsche è un uomo che scrive la sua solitudine intellettuale; ha il coraggio di presentare il suo lavoro con tensioni e, nel tempo, ripensamenti. Non si cura di essere “non contraddittorio” con ciò che la ricerca sta producendo nella contemporaneità; ci propone invece la sua avventura intellettuale “personale”, il frutto della sua originalità e per questo ciò che scrive vale al di là del fatto che le sue tesi possano o meno trovare completa conferma. Adesso sono stanco, finisco domani … ma se mi leggete stanotte vi riporto un pensierino esposto come l’ho trovato su internettt: 63136 elevato alla 136; qual è l’ultima cifra (a destra) del numero ottenuto? Un genio lo dice in tre secondi. Un matematico lo dice in un minuto. Un architetto in 4 ore. Uno psicologo …. In Epidemiologia della schizofrenia Bateson descrive la schizofrenia come il risultato di una lacuna indotta nel processo di apprendimento che una persona, anche senza rendersene conto, mette in campo in forma adattiva. L’autore dà una prima definizione: “… una difficoltà nell’identificare e nell’interpretare quei segnali che dovrebbero dire all’individuo di che tipo è un messaggio; …”. Bateson quindi pone la questione sull’incapacità di definire il contesto come significante “primario” del contenuto. Di seguito richiama una capacità quella di comportarsi nell’ambito di un gioco come una competenza dello stesso tipo (ricordiamo che il “giocare” è uno dei temi dei metaloghi). È decisivo comprendere che se è vero che l’informazione proviene dall’esterno, la grigli interpretativa deve essere maturata all’“interno” dell’individuo per quanto egli non se ne accorga. Grazie al resoconto di alcuni casi Bateson vuole provare che l’eziologia della malattia va cercata in storie di traumi multipli che generano nuclei di informazione tra essi conflittuali e collocati su piani diversi. Con le parole di Bateson: “… il trauma deve aver avuto una struttura formale, nel senso che due tipi logici multipli sono stati posti in conflitto reciproco per generare in quell’individuo quella particolare patologia.” In questo prima parte del lavoro egli definisce una serie di cause ipotetiche all’origine di questo problema di classificazione dell’informazione ma soprattutto avanza la sua tesi che vi sia una figura induttrice che nega la possibilità alla sua vittima di costruirsi un sistema di codifica che abbia queste due caratteristiche: l’originalità e la fidatezza. Vedremo come si procede. Di passaggio facciamo notare che Bateson è l’unico autore che parli dell’arte retorica come un aspetto formale della comunicazione che non ha niente a che vedere con tono, volume, ecc. della voce, né con qualsiasi espressione della cinestesia. Lo fa elencando svariate modalità attraverso le quali gli esseri umani producono (e comunicano) senso. Bateson si richiama alla teoria dei tipi logici di Russel e Whitehead per sottolineare il fatto che un contenuto può essere classificato sulla base del dominio cui appartiene e questa operazione risulta funzionale poiché differenti dominii possono strutturarsi, ed essere classificati, in posizioni gerarchiche diverse. Egli ritiene che lo schizofrenico mostri una triplice debolezza nell’orientarsi tra “modi comunicativi” non riuscendo quindi a decodificare / produrre correttamente i contenuti. Ad esempio, ritornando alla “retorica”, la funzione dell’iperbole produce un contenuto che necessita della sua codifica ovvero della comprensione che quel messaggio va inteso proprio come un messaggio appartenente al dominio della retorica: “Ti amo da morire …”, direbbe Bateson, può causare in uno schizofrenico un attacco di panico. Di passaggio, notiamo che il livello / dominio che denominiamo retorica è strutturato su un livello differente rispetto ad una qualsiasi figura prodotta. Ritornando alla triplice debolezza, essa è data da:
  1. una difficoltà nell’assegnare il modo comunicativo ai messaggi che provengono dagli altri;
  2. una difficoltà nell’assegnare il modo comunicativo ai messaggi che il soggetto stesso produce ed emette;
  3. una difficoltà nell’assegnare il modo comunicativo ai messaggi che il soggetto stesso processa al suo interno (pensieri, sensazioni, percezioni).
L’autore a questo punto dichiara che, a fronte delle osservazioni effettuate e dei ragionamenti messi in campo, ciò che si sta cercando riguarda un fenomeno che a che fare con l’apprendimento (e quindi si pensi alla famiglia come luogo di “fabbricazione” dello schizofrenico) e che deve essere rappresentato come un conflitto irrisolvibile tra modalità di codifica apprese (e quindi insegnate) che risultino gradite / adattive quanto inefficaci (e per questo, appunto, foriere di un forte “disagio” psichico). Si tratta del “doppio legame”. Gli ingredienti per ottenere un “doppio legame” sono:
  1. gli attori (due o più di cui uno è la vittima),
  2. la possibilità che un’esperienza possa essere reiterata e quindi il suo contenuto venga appreso,
  3. un’ingiunzione primaria (es.: “… se farai questo ti punirò.”),
  4. un’ingiunzione secondaria in conflitto con la prima e appartenente ad un diverso livello logico (es.: “… la punizione non deve essere considerata tale.”),
  5. un’ingiunzione terziaria (es.: “… in ogni caso la punizione che non è una punizione ti troverà e colpirà ovunque.”).
Notiamo da subito che i termini “doppio legame” vengono usati non del tutto a proposito quando con essi si etichetta una situazione che presenta una falsa alternativa. Bateson continua chiarendo che lo schizofrenico considera d’importanza vitale la necessità di saper rispondere adeguatamente al messaggio comunicatogli e per questo egli ritiene basilare saper distinguere, specificamente, il tipo di tale flusso di informazione. Se però l’interpretazione in apparenza, e anche nella sostanza, ovvia (“… sarò punito se …”), viene negata dalla seconda (“… non hai capito che non stiamo parlando di punizioni …”) nel momento stesso in cui il processo interpretativo inizia a prendere forma, il soggetto si trova in un enpasse bloccante e senza uscita (vedi la terza ingiunzione). Osservando gli esiti, per la vittima si tratta di apprendere l’unica informazione, decisiva quanto originaria: l’impossibilità di “andare via” da una condizione di completa e totale inadeguatezza; parliamo della negazione dell’umanità intesa come capacità adattiva, ove quest’ultima dovrebbe essere promossa, da un’adeguata figura genitoriale, come la qualità caratteristica, e tra le più importanti, di ogni persona. È evidente che qui non c’è spazio per il dispiegarsi dell’intelligenza o di una sensibilità. Di seguito Bateson descrive l’eziologia e l’evoluzione del processo per la creazione di uno schizofrenico lasciando intendere che, se la vittima subisce un processo “gestito” da una figura genitoriale a sua volta affetta da un disagio psichico sorto nell’ambito della “famiglia” d’origine, allora sono necessarie almeno tre generazioni per ottenere una patologia come quella schizofrenica. Mi interessa far notare che la struttura della relazione schizofrenicopatogena può essere descritta attraverso il triangolo drammatico di Karpman (Stephen), uno strumento dell’Analisi Transazionale Integrata, ove il racket principale riguarda la permanenza a vita all’interno del gioco. E infatti Bateson pare concludere che lo schizofrenico “ben formato” si aspetta di essere punito quando appare in grado di codificare l’informazione di cui è destinatario (situazione che comporta la sua uscita dal “gioco”). Rimando ad una lettura approfondita (che raccomando) dei saggi di Bateson sulla schizofrenia anche come “racconto” di ciò che può produrre una mente fine e originale e concludo ricordando che il modello di riferimento per la comprensione della struttura della patologia in questione, per il nostro, è quello di von Neumann e Morgenstern definito nel capolavoro Teoria dei giochi e comportamento economico del 1944. Von Neumann è il relatore della tesi di laurea di John Nash; quindi, incomprensibilmente, sembra che per Bateson il linguaggio della psicologia abbia a che fare con quello della matematica, della logica formale o della topologia. Dai non scherziamo!  
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